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L'insonnia è, purtroppo, un problema che affligge molte persone. Dormire bene è fondamentale per il nostro stato di salute poichè, durante il sonno, il nostro sangue può depurarsi.
Esiste una correlazione tra insonnia e alimentazione? Ce lo spiega Mara Di Noia, che ci propone anche diversi rimedi naturali per dormire bene: in particolare, il "brodo di verdure dolci", che può aiutarci a riequilibrare gli zuccheri nel nostro sangue e a stabilizzare il nostro umore.
"E se poi te ne penti?" - dico strabuzzando gli occhi, tra il serio e il faceto. "Di cosa, sentiamo". E sento già che la pazienza di Luca in questa soleggiata tarda mattinata di maggio è già messa alla prova dalla mia opinabile idiozia.
"Ma come di cosa... dell'essere vegano, naturalmente – blatero avvicinandomi al sofà con una rivista in mano e sedendomi accanto al mio vegano sul divano – è l'unico difetto che hai e lo sai".
"Lusingato, ma non è l'unico – mi dice con un sorrisetto – quello più ingobrante è l'essere goloso!" "Già, vegan e goloso sono due termini che cozzano, non trovi? Te lo dimostrerò – continuo – e poi potrai dire la magica frase che tanto aspetto: sto cedendo alla tentazione della carne!"
"Smettila, sei un'onnivora che non rispetta le scelte altrui". Dice divertito e un po' seccato Luca, come qualcuno che si è rassegnato all'incomprensibilità del proprio stile di vita. La fatica di spiegare al mondo le proprie scelte in materia di alimentazione differente, devo ammetterlo, è uno dei grandi drammi comunicativi di questo decennio.
"Ma guarda qui, questa, dopo anni di veganesimo torna a mangiare la carne – dico indicando l'articolo che sto leggendo – A te, questi dubbi, non ti sfiorano mai? Non pensi: oddio, forse sto sbagliando, la strada intrapresa non è quella giusta". "Certo, il veganesimo è una scelta e come tale implica una decisione e delle rinunce".
"Qual è stata, allora, la rinuncia più sofferta?"
"Una delle cose che ho sempre amato mangiare – mi spiega Luca – sono i formaggi, specie se stagionati e puzzolenti, per quelli francesi, poi, avevo una vera e propria adorazione!".
"Quindi la tentazione di azzannare una fetta di formaggio c'è sempre…" dico tendenziosa.
"Il ricordo, più che la tentazione, - mi spiega con fare deciso – così come i ricordi di cibi mangiati in viaggio e che oggi proprio non riuscirei a mangiare. Detto questo sì, sono ancora un convinto vegano perché è uno stile alimentare che mi si addice". "Va bene… contento tu!"
Dicendo così penso già a cosa poter cucinare per pranzo. Vorrei che i golosi ricordi di Luca non facessero troppo rumore; vorrei questa volta, come ogni volta che cucino, dimostrare che la golosità non dipende solo dagli ingredienti ma è la combinazione di cibi, sapori, colori e momenti. Mi avvio in cucina, metto su "The sicilian clan" di Ennio Morricone e penso che la combinazione golosa di oggi possa partire da un grande ingrediente di stagione, le fave fresche. "Luca, mi aiuti a cucinare?" - urlo dalla cucina.
"Arrivo – dice avvicinandosi – cosa prepariamo di goloso?"
Spaghetti integrali con vellutata di fave fresche e basilico
Non serve comprare i biglietti per la Danimarca in funzione della prenotazione al Noma, per poi mangiare riso e cipolle fino al giorno della partenza: taccuino in una mano e pc nell'altra, basta poco per pianificare un itinerario foodie di Copenhagen. Insomma, oltre Rezdepi c'è di più -per quanto sia diventato l'icona della capitale danese a pari livelli della Sirenetta.
Lontano dai riflettori puntati sul Noma, il Nordic Food Lab e il manifesto della nuova cucina nordica, c'è un vivo e ricchissimo sottobosco che sta trasformando lo scenario enogastronomico di Copenhagen verso una nuova forma sostenibile, innovativa-tendente-all'hipster e democratica; c'è spazio per tutto e tutti: vegani e onnivori, cene gourmet e street food, stellati e bistrot "low cost" (occhio alle virgolette, perché il costo della vita della capitale è abbastanza elevato). Più che una manifestazione sporadica, un trend che esplode e si spegne alla stessa velocità, la rivoluzione foodie danese sembra essere davvero intenzionata a tracciare un segno indelebile.
Ecco 3 curiosità utili e 3 (+2) tappe immancabili nel vostro itinerario della nuova foodie Copenhagen.
1. A COPENHAGEN SI VIVE BIO. RELÆ, MANFRED'S E MIRABELLE
Copenhagen ha scelto il biologico, e non solo per la tavola: dai prodotti per il corpo a quelli per la cura della casa, passando anche per i tessuti, i consumatori prediligono l'opzione bio. Al fianco dei negozi specializzati, anche i supermercati sembrano covare un sostanziale mutamento che soddisfi la crescente domanda. Inutile dire che il cibo è il primo a essere finito sotto il mirino, tanto che oltre alla certificazione biologica europea dei prodotti, in Danimarca ne esiste una anche per i servizi di ristorazione. Che siano mense scolastiche, food truck per hot dog o ristoranti stellati, ogni locale ha a disposizione una lista completa e costantemente aggiornata di produttori biologici presso cui fare rifornimento, sia per il cibo che per i prodotti necessari alla cura del ristorante. A seconda della percentuale dei prodotti biologici impiegati, il locale riceve una medaglia di bronzo, argento o oro.
Tra questi ultimi virtuosi bio dal 90 al 100% c'è il ristorante una stella Michelin Relæ, dello chef Christian Puglisi. Situato in Jaegersborggade, una fiorente via di commercio enogastronomico -tirata via dalla sua vecchia nomea malfamata proprio grazie alla coraggiosa apertura del ristorante, Relæ è lo stellato più "economico" del Paese (attenzione ancora alle virgolette), dove la cucina sperimentale dello chef viene accompagnata dai vini naturali importati dal suo stesso gruppo imprenditoriale. L'esperimento del Relæ sembra essere riuscito tanto bene al punto che sono nate, sempre dallo stesso gruppo e con la stessa identità biologica, altre realtà satellite. Proprio di fronte al primo locale è situato il Manfred's, la sua versione low cost, dove vengono impiegate tutte le materie prime non utilizzate al Relæ: se ad esempio il primo ristorante serve petto di pollo, il secondo avrà in menù alette e sovracosce. Della grande famiglia del Relæ fa parte anche Mirabelle, bakery scandinava che serve dell'ottima focaccia in stile italiano e pagnotte che nella maggior parte dei casi sono a base di farina scura, come cultura nordica vuole. Ma anche nel caso delle farine bianche, nessuna provenienza sospetta: è l'italianissimo Mulino Marino a fornire il negozio. Il pane di Mirabelle è tanto buono che i locali del circondariato ne sono i primi acquirenti, in un continuo ciclo di sostegno reciproco che nutre l'imprenditorialità locale. Ciclo di cui fa parte lo stesso chef Puglisi, che ha deciso di decorare il Relae con le ceramiche artigianali della bottega vicina. Se non ci si sostiene a vicenda...
2. I DANESI PREDILIGONO L'ACIDO (E VANNO MATTI PER I FERMENTATI). RØDDER
Come si dice, de gustibus non disputandum est. Rispetto ai nostri gusti, quelli nordici tendono molto più all'acido - e, in certi casi, all'amaro. Più che un vezzo, è una peculiarità del bagaglio culturale tramandato nel tempo di generazione in generazione, e modellato sia da fattori controllati dall'uomo e che da altri prettamente naturali. Come spiegazione più ovvia, molti additano il clima rigido dell'area, che non permette a frutta e verdura di maturare al punto giusto (quello che in Europa Meridionale consideriamo il punto giusto) e restano così più aspre, acide del dovuto. Chissà quale sarà l'influenza delle temperature crescenti, oggi tanto alte da poter permettere ai Danesi di coltivare le viti. Ma il gusto dell'acido resiste ancora: birra, caffè e vini tendono molto su questo versante.
A rinforzare questa peculiarità, vi è la passione quasi smoderata per le fermentazioni selvagge: dimenticate i lieviti lasciati in eredità dai produttori francesi di champagne, in Danimarca qualsiasi microrganismo è il benvenuto. Così la carta dei vini si riempie di vini naturali e biologici dai colori decisamente fuori dai canoni, spesso tendenti a un arancione ambrato; quasi immancabile è il fondo, o qualche residuo scampato al filtraggio, e il corpo pieno e rotondo a cui siamo abituati è una rarità; ma pur restando l'acido il gusto predominante, la gamma degli aromi e dei sapori non ne risente, spaziando ampiamente dai fruttati ai legnosi. Insomma, se vi arriva al tavolo un vino quasi acetico, non rimandatelo indietro: la scoperta di una cultura passa anche dal bicchiere. Rødder è un tempio del vino naturale: dalla mente creativa di Solfinn Danielsen, ex uomo di marketing, l'enoteca è un'ottima vetrina espositiva dei gusti enologici della Danimarca, contando numerose etichette internazionali -tra cui non mancano le italiane. Oltre all'acquisto in negozio, potete assaggiare i vini in una delle cene del ristorante pop-up organizzate da Solfinn e il suo socio in giro per il Paese -basta solo intercettare un invito su Facebook, e il gioco è fatto.
3. COPENHAGEN È...BUONA! SPISEHUSET RUB&STUB
La cultura danese è basata su un forte senso di eguaglianza e comunità, collante essenziale per lo spirito propositivo, attivo e pro-attivo dei cittadini. Questo fermento collettivo è ben percettibile in iniziative di qualsiasi sorta, grazie alla collaborazione alla pari di singoli individui, associazioni e istituzioni (si, la municipalità di Copenhagen è giovane, attiva e propositiva come nelle più rosee utopie). Nessun atteggiamento altezzoso, però; niente competizione, rivalità e soprattutto niente stress: ai danesi piace divertirsi e divertire, prendersela con calma e sorridere; non a caso, sono il popolo più felice del mondo praticamente da quando è stata istituita una classifica del genere. Alla gente, insomma, piace fare del bene -e farlo per bene.
Come i 130 volontari dello Spisehuset Rub & Stub, il ristorante no-profit parte del Danish Refugee Council che ha come obiettivo la lotta contro lo spreco alimentare. Rub & Stub riceve ogni giorno il surplus di cibo da contadini, cooperative, supermercati e negozi alimentari; il cibo donato consiste solitamente in prodotti in prossimità di scadenza e in frutta e verdura di taglia, colore, forma sbagliata, non corrispondente cioè ai canoni che lo renderebbe appetibile a sufficienza. I volontari (che garantiscono un impegno di 3 turni di 6 ore al mese, per un minimo di 6 mesi) provvedono a cucinare e a servire i piatti in tavola, in un'elegante struttura nel centro della città concessa gratuitamente dalla municipalità. Il ricavato, infine, viene devoluto in beneficenza. Il progetto è ormai solido, tanto che nel suo primo anno di vita ha permesso al ristorante di cucinare e servire 3 tonnellate e mezzo di surplus di cibo. La prenotazione è necessaria ma la cena, ovviamente, sarà una sorpresa. Il menù cambia ogni giorno a seconda della disponibilità degli ingredienti, offrendo tendenzialmente una scelta tra due antipasti, due piatti unici e due dessert. Vale la pena di accettare a scatola chiusa, garantisce la qualità della cucina!
Photo credits: Francesca Mastrovito
Il latte è un alimento spesso difficile da digerire e a cui si può essere intolleranti per mancanza dell'enzima lattasi che, appunto, digerisce il lattosio, lo zucchero in esso contenuto. Che alternative abbiamo a disposizione?
Il latte si può sostituire con bevande di origine vegetale anche quando si fanno delle scelte di vita vegana, eliminando dalla propria dieta qualsiasi alimento di origine animale.
Come sempre succede togliere un alimento significa conoscerne moltissimi altri! Le bevande vegetali sono ormai parte integrante del nostro quotidiano. All'inizio esistevano solo quelle di soia e di riso, oltre al latte di mandorle che al sud viene preparato dal medioevo: oggi abbiamo bevande vegetali a partire da ogni tipo di cereale e di frutta secca.
Latte di soia, riso, avena, mandorla, pistacchio, farro, quinoa, miglio, nocciola…c'e' davvero l'imbarazzo della scelta e ce n'e' per tutti i gusti. Possiamo divertirci a tavola e non annoiarci mai.
Le bevande possono essere dolcificate o no, e si possono utilizzare tutti in cucina, con varieta' e fantasia. Il latte di riso, ad esempio, e' molto adatto ai dolci, essendo dolce di per se'. Il latte di avena, morbido e vellutato grazie ai suoi grassi, è utile quando si vuole sostituire il latte vaccino, ad esempio con i bambini.
Tali bevande possono dunque servirci per realizzare dolci, frappe', creme, smoothies, frullati, miscelati con frutta di stagione; e si prestano, inoltre, alla preparazione di vellutate, creme, besciamelle, maionesi vegetali, gelati, semifreddi e spume.
Per preparare un'ottima maionese utilizziamo il latte di soia senza zucchero: solo cosi monterà con la dose doppia di olio di riso, a cui si andranno ad aggiungere sale, succo di limone e zafferano (o curcuma), frullando quindi tutto insieme con un minipimer a immersione.
Anche la besciamella riesce perfettamente con il latte di avena o di soia, con l'olio di oliva al posto del burro: per mezzo litro di latte utilizzeremo tre cucchiai di farina e tre cucchiai di olio.
Alternative sane e leggere per la salute di tutti: esseri umani e animali!
Photo credits: cookingalamel
In cucina possiamo realizzare anche cosmetici casalinghi, semplici e freschi. Mara di Noia ci spiega come prepare un latte detergente a base di aloe, vero e proprio trattamento di bellezza per la nostra epidermide. Mentre il Dottor Calcattera ci fornisce un approfondimento medico sulle proprietà dell'aloe, che protegge il nostro organismo da molti punti di vista.
Noia in cucina? Arriva il pic-nic di primavera
Scritto da Giulia Siena "Ormai mi sto annoiando un po' in cucina, sai?" "Perché? Cosa ti annoia, l'arredamento, gli elettrodomestici o il cibo?" Rido sarcastica e un po' sorpresa.
"Non so: sarà il torpore della primavera ma non ho grande voglia di cucinare – dice pensieroso Luca – e poi non ho idee... cucino spesso le stesse cose!" "Dai, non ti preoccupare. Questo è un problema comune – confesso - a me, per esempio, capita almeno due volte al giorno, tre quando devo portare il pranzo fuori casa!".
"Il pranzo fuori casa, poi, è un vero dramma". "Dici? - chiedo mentre guardo Luca, il mio Vegano sul divano – allora mettiamoci alla prova insieme, qualcosa ne uscirà fuori".
Parli di primavera e parli di pic-nic, di tovaglie stese al sole, di passeggiate nei boschi o in riva al mare. Arriva maggio e nella mia stramba famiglia fatta di amici più o meno geograficamente lontani, arriva la stagione del pranzo al sacco: si propone, organizza, si fissa la meta e si parte. Ah, naturalmente prima si cucina! Abbiamo fatto così anche qualche giorno fa, sabato 25 aprile quando, dopo il the mattutino, io e Luca ci siamo confrontati sulla difficoltà – vegan o no – di trovare sempre ricette nuove, gustose, veloci e a prova di pic-nic!
La città, però, è scomoda per mettere in atto una scampagnata di tutto rispetto, così, abbiamo deciso di camminare nei boschi di faggi sull'Appennino Reggiano. La meta era il lago di Calamone alle pendici del monte Ventasso, nel cuore dell'Emilia Romagna.
"L'insalata, per esempio, - mi dice Luca mentre addita un cespo di insalata e verdure che giaciono silenziose nel frigo - perché deve essere per forza così semplice e triste agli occhi dei NONvegani?"
"Ma non penso sia un problema di vegani e NONvegani: l'insalata sola e moribonda in un piatto è sempre stata triste. Proviamo a darle una nuova vita, proviamo anche a rendere utili le verdure: metto a cuocere il riso venere, tu prendi delle arance".
Così, mentre Holly Golightly canta "Tell me now so I know", noi cerchiamo di rendere appetitosa la nostra Insalata di riso venere con arancia e finocchi per il pic-nic al lago.
Pronti a partire!
Photo credits: Paul
La farina integrale e la farina 00 sono molto diverse. La farina 00, infatti, essendo la più raffinata, può provocare alcuni problemi di salute: ad esempio, può predisporre al diabete.
In questa puntata di Vegachef, Mara di Noia - assieme al Dott. Calcaterra - ci spiega le motivazioni per cui è preferibile utilizzare farine integrali e semintegrali. E poi, ricordiamoci che non esiste solo la farina di grano: proviamo dunque anche a utilizzare tutte le altre varianti, come le farine di farro, di riso e di mais, per preparare nuove e gustose ricette!
Lo zucchero bianco fa veramente male alla nostra salute: stressa il nostro pancreas e ci espone a pericolosi picchi glicemici; é inserito nell'elenco degli alimenti acidificanti, e pertanto il nostro organismo deve tamponarlo per limitarne gli effetti dannosi. Come? Prelevando sali minerali dai distretti dove questi ultimi sono più presenti, ad esempio dalle nostre ossa. Lo zucchero ha un effetto killer sui nostri globuli bianchi, che vengono privati progressivamente della capacità di fagocitare i batteri.
Lo zucchero di canna, ahimè, è uguale: è sempre saccarosio. A meno che non si riesca a trovare il vero zucchero di canna integrale, scuro e cristallino. Possiamo sostituire degnamente lo zucchero e avere comunque il dolce nella nostra vita, un gusto che non può mancare.
I sostituti migliori sono i malti, ottenuti dalla cottura di cereali, riso, mais e orzo, che sono prodotti integrali, non eccessivamente raffinati, ricchi di sali minerali e vitamine, hanno un gusto dolce e una consistenza che ricorda il miele. Il malto di orzo e' meno dolce e possiamo usarlo in cucina, per la panificazione o per la cucina salata. Malto di riso e mais sostituiranno benissimo lo zucchero nei dessert, ci nutrono e non ci impoveriscono.
Il fruttosio della frutta e' amico della nostra salute, ma non e' cosi per il fruttosio di sintesi, prodotto troppo lavorato che alla lunga fa ammalare il nostro pancreas. Lo stesso discorso vale per il succo d'agave, che e' troppo ricco di fruttosio (chi fa colazione con il fruttosio come dolcificante tende ad avere fame prima e a mangiare di più).
Il succo d'acero e' un buon dolcificante: e' un liquido ottenuto bollendo la linfa dell'acero da zucchero e dell'acero nero. Per ottenerne un litro, occorre bollire 40 litri di linfa. E' ricco di sali minerali ha proprietà depurative ed energizzanti. E' un prodotto tipico della cultura canadese (nella loro bandiera, e' presente una sua foglia!).
La stevia e' una pianta originaria delle montagne tra Paraguay e Brasile. Il potere dolcificante e' racchiuso nelle foglie: dolcifica circa 200 volte più dello zucchero comune. Il successo e' stato decretato dal fatto che ha zero calorie: viene consigliato anche per i diabetici per il ridotto impatto glicemico. Ma come per il fruttosio di sintesi, a fronte del basso impatto glicemico e calorico c'e' un enorme carico per il nostro pancreas. La foglia fresca o essiccata, infatti, non e' molto utile in cucina, quindi occorre usare il prodotto industriale.
Il diabete e la sindrome metabolica sono le malattie del futuro: prendiamoci cura del nostro pancreas!
Ancora una volta, vi invito a utilizzare prodotti più naturali, meno raffinati e industrializzati possibili, visto che le abbiamo a disposizione molte alternative per non farci mancare il nostro primo gusto:il dolce che ci serve ogni giorno nella vita.
Letture consigliate
Sanchez A. et al. (1973). Role of sugars in human neutrophilic phagocytosis. American Journal of Clinical Nutrition, 26, 1180-4
Wender E.H., Solanto M.V. (1991). Effects of sugar on aggressive and inattentive behavior in children with attention deficit disorder with hyperactivity and normal children. Pediatrics 88(5): 960-6
http://www.naturopataonline.org/alimentazione/cosa-mangiamo/147-quali-sono-i-cibi-acidi-cibi-alcalini-e-gli-alimenti-neutri.html
Photo credits:
Moyan Brenn
Alpha
TjJ
"Scendiamo, scendiamo, scendiamo – ripeto quando, con un occhio semiaperto e l'altro totalmente chiuso, arrivo in salotto - scendiamo per la colazione al bar?" "Dovresti conoscere il dramma-della-colazione-al-bar!" Esordisce il mio Vegano sul Divano.
"No – rispondo svogliata – Cos'è, una nuova pièce teatrale?"
"Ah – ride Luca – potrebbe essere un'ottima idea da portare sul palcoscenico... ma no, non lo è, purtroppo è la macabra realtà".
"Eh no, eh, - sbotto mentre arrotolata nel mio pigiama rosso a pois ciondolo per casa - di nuovo con questo dramma che vivete voi poveri vegani? E poi, già a quest'ora? Già all'alba?"
"Che esagerata... non è mica l'alba! Comunque non è un dramma – ripete serioso Luca - ma quello che proviamo ogni qual volta decidiamo, noi vegani, di fare la colazione fuori casa: dolci al burro, crostatine con cioccolato al latte, cornetti al miele e via di seguito". "Tutto questo per dirmi che non mi accompagni a fare colazione fuori?"
A questo punto oltre alle occhiaie da fine settimana, penso che mi sia comparsa, improvvisamente, un'espressione ebete sul viso. Non solo lo shock che mi procura la sveglia ogni qual volta mi ricorda lo sfratto mattutino dal letto, ma anche la consapevolezza che non potrò calarmi gli occhiali sul viso e scendere al bar di sotto e chiedere una qualsiasi brioche.
"E ora come pensi di ovviare al mio di dramma?", dico sottolineando la mia disperazione.
"Dai, prepariamo qualcosa di veloce – ribatte il mio vegano già pronto e pimpante per la giornata – magari proviamo insieme quella ricetta che mi hai passato, quella della Torta Ciocco-Caffè che mi avevi inviato tempo fa e ci beviamo sopra un'ottima tazza di quel the verde che abbiamo comprato insieme".
"Buona idea, mi hai convinto – rispondo quasi rassegnata – allora mi preparo e ci mettiamo a lavoro. Concedimi, però, almeno un caffè!"
"Brava, fai il caffè che poi lo utilizziamo per la ricetta". "Ok, tu però, metti un po' di musica: io devo svegliarmi!".
Così, mentre i Blur cantano Coffee and TV, io sorseggio il mio primo caffè e ci mettiamo a lavoro per una splendida colazione di buon week-end.
Photo credits: Or Hiltch
Il dolce è il nostro primo gusto: ci ricorda il latte materno e ci accompagna per tutta la vita. La voglia di dolce è, tuttavia, ipoglicemica, e non va contrastata con gli zuccheri raffinati, ma privilegiando dolci e dolcificanti naturali, come il malto.
Mara di Noia ci accompagna nel mondo dei dolci naturali e ci spiega come preparare una bevanda dissetante e rilassante, per noi e per i nostri bimbi, a base di succo di mela.
Altro...
Come mangiare a pranzo fuori essendo celiaci, intolleranti al lattosio e vegetariani?
Semplice: portandosi il pranzo da casa!
La celiachia - o intolleranza al glutine - esclude ogni tipo di panificato, e non digerire il lattosio depenna un'altra buona fetta di alimenti dall'elenco di quelli possibili. La maggior parte dei bar non offre alternative adatte: ogni insalata, dalla più semplice alla più elaborata, comprende almeno uno di questi alimenti, che nei casi più originali divengono la base della pietanza presentata.
Un esempio? Insalata di pomodori e piselli a base di crostini e mozzarella, un alimento talmente completo da fornire anche assistenza ospedaliera immediata a chi ne avesse bisogno.
I locali attenti alle intolleranze esistono, ma sono ancora in fase di espansione.
Per esigenze di qualità devono tenere prezzi leggermente maggiori della media e, almeno a Torino, nella zona universitaria e centrale se ne trovano davvero pochi.
Tra la ricerca del luogo adatto e la consumazione delle sfiziose alternative del menù, quindi, la pausa pranzo si trasforma in una corsa contro il tempo, in cui la digestione è dimenticata per tornare velocemente agli impegni giornalieri. A questo punto, è intelligente ricavare un quarto d'ora, la sera, per prepararsi le cibarie del giorno dopo.
Mangiare tra le mura universitarie o del luogo di lavoro non è rilassante quanto uscire, ma lo svago può essere facilmente recuperato approfittando del resto della pausa dopo il pasto. In tal modo, si può ricavare anche qualche minuto in più per le chiacchiere: la scusa per conoscere un nuovo collega e stringere amicizia potrebbe proprio essere quella ricetta preparata brevemente la sera prima.
Oltre ad evitare lunghi pellegrinaggi affamati, preparare il pranzo da casa è notevolmente vantaggioso anche per riutilizzare i resti della cena casalinga. Infatti, quasi sempre le dosi di risotto cucinato sono super abbondanti e, dopo aver preparato l'insalata, matematicamente rimangono tre o quattro pomodorini, qualche oliva, un po' di mais, 1/4 di testa d'insalata, 1 fetta di tofu o di formaggio che, dopo aver occupato pazientemente il frigo per un po', finiscono nell'organico, inutilizzati e dimenticati.
Questi resti, troppo scarsi per una famiglia intera, diventano ideali per sperimentare nuove ricette e preparare un pranzo pronto all'uso. Partendo dal riso e dalle olive nere, infatti, il palato assaggia con piacere una pietanza decisamente più gustosa rispetto al triste sandwich alternativo.
Ecco quindi un'alternativa gustosa e semplice per consumare un buon pranzetto fuori casa, evitando anche di impazzire ai fornelli.
Gli ingredienti sono semplici e facilmente ricavabili dalla dispensa casalinga:
riso venere (o la varietà che più gradite) pomodorini ciliegia
olive nere snocciolate
tofu al naturale
mais
salsa di soya tamari (senza glutine).
Lavate e scolate quattro manciate di riso sotto l'acqua corrente, in modo da togliere l'amido in eccesso. Intanto, in una pentola abbastanza capiente, versate ½ litro d'acqua salata e, una volta portata a bollore, buttate il riso.
Fatelo poi cuocere per circa 10/15 minuti mescolando di tanto in tanto, in modo da non creare grumi. Durante la cottura, tagliate le olive nere snocciolate a rondelle. Fate lo stesso con i pomodorini ciliegia e il tofu al naturale (abbiate cura di togliere l'acqua al momento dell'apertura), secondo la quantità che più vi aggrada.
Assaggiate il riso e, una volta cotto "al dente", spegnete il fuoco e scolatelo bene. In una ciotola abbastanza grande, aggiungete tutti gli ingredienti precedentemente affettati, compreso il mais, e amalgamate tutto, condendo con olio e salsa tamari q.b.
Non resta che ricordare di portare con sè una forchetta o un cucchiaio!
Photo credits: Giulia Gasparro
Il suo nick name era Fioriviola, quando ci siamo conosciute nella primavera del 2006. Ci incontravamo in quello che avevamo chiamato "Laboratorio virtuale di immaginazione urbana", un collettivo di architetti paesaggisti, di designers e sognatori che provavano a ridisegnare a più mani il futuro di una grande caserma abbandonata nel centro di Bari.
Con Antonella, naturalmente, parlavamo di libri, scrivendo e smanettando per il blog del collettivo.
Prese dal tourbillon della vita, ci siamo perse per un po' di anni, percorrendo orbite ellittiche in giro per l'Europa e l'Italia. Per poi ritrovarci di nuovo insieme, grazie ai libri, alla cucina e al nostro amore per la Puglia, tra le casette bianche di calce e le balconate a strapiombo sul mare di Polignano.
E' qui, durante il Festival il Libro possibile (di cui Antonella è l'ufficio stampa), durante la presentazione del nostro "Eat Different" insieme a Paola Sucato, che le mancine hanno (ri)abbracciato la Nina.
F. Antonella, tu sei una mancina doc, che ha fatto del mangiare differente il proprio stile di vita: hai eliminato dalla tua dieta alimenti con il nichel e in questo ti ha aiutato molto la cucina macrobiotica di cui sei una cultrice. Ce ne vuoi parlare?
A. Sono sempre stata attratta dal "mangiare differente", anche molto tempo prima di scoprire questa pervasiva allergia al nichel e di essere folgorata - e salvata! – dalla macrobiotica. Sono diventata vegetariana a 17 anni, scelta stranissima per una paese della Puglia di quasi vent'anni fa, in cui le braciolette erano d'obbligo con il ragù della domenica, e a 25 ho smesso anche di mangiare latte e glutine, altra follia nella patria di focacce e latticini. Sentivo che non facevano bene al mio corpo, ma, nonostante facessi lo slalom tra i piatti durante le cene con amici che mi guardavano come un'aliena ("nemmeno una mozzarella piccola? E questa fettina di salame?") e avessi una dieta "formalmente" impeccabile (tantissima verdura, frutta, cerali integrali e blabla), i miei mal di pancia non accennavano a diminuire. Era colpa
del nichel, ma io non lo sapevo. Pensavo di alimentarmi al meglio, seguendo i dettami di una dieta - quella vegetariana - che però per me era nociva, non salutare. Ho incontrato la macrobiotica mentre vivevo in Olanda dopo la laurea, ma non è scattato il colpo di fulmine: ci sono voluti altri 10 anni, molti dolori e, soprattutto, l'incontro con Gaia de La Cucina Verde per cambiare la mia vita e farmi capire che quella era la mia strada. In poco tempo ho ripreso chili, salute, energia. Sono tornata a divertirmi con il cibo, a mangiare cibi che prima mi avrebbero fatto male solo a guardarli, a giocare con i colori, le forme, gli stili di cottura in un senso non solo estetico, ma anche profondamente etico, a capire quanto importante sia quello che mettiamo nel nostro piatto. Il mantra del mio 2015 è, infatti, "consapevolezza" o mindfullness, come si dice qui in UK, e la mia macrobiotica è prima di tutto ascolto, cura, attenzione. Consapevolezza, appunto.
F. I libri, in particolare quelli di cucina, sono la tua passione. Leggendo la tua rubrica su Honest Cooking e sbirciando sul tuo profilo Instagram ne ho scoperto di meravigliosi, dove le ricette, le illustrazioni e la creatività si fondono insieme. Vuoi condividere con noi i tuoi 3 food-libri del cuore?
A. Scelgo un cookbook, un saggio e un romanzo perché, prima ancora delle ricette, credo siano importanti le storie, i racconti, i pensieri dietro il cibo. Di sicuro è "Plenty" di Yotam Ottolenghi il libro che vorrei ritrovarmi accanto se naufragassi su un'isola deserta. Il più bel libro sulle verdure mai realizzato. Si dice che, quando ami un libro di cucina, provi tre o quattro ricette al massimo: con Plenty, io non riesco a smettere. Dopo i primi entusiasmanti esperimenti, insieme al mio compagno, abbiamo deciso di provarne una a settimana, facendo un "Ottolenghi Dinners Project" che ci sta regalando grandi soddisfazioni e ottime cene! "Breviario di resistenza alimentare" di M. Pollan é un libretto semiserio, che non mi stanco di rileggere. Contiene alcune regole di buon senso, ma che spesso dimentichiamo, obnubilati dalla frenesia e dal marketing ("evita prodotti con ingredienti che nessun essere umano normale terrebbe in dispensa"; "non mangiare niente che la tua bisnonna non riconoscerebbe come cibo"; "se non hai abbastanza fame da mangiare una mela, allora non hai fame"; "mangia tutto il cibo-spazzatura che vuoi se sei tu a cucinarlo"). "L'inconfondibile tristezza della torta al limone" di Aimee Bender é un romanzo di cui ho adorato l'idea di fondo: la piccola Rose che ne è protagonista percepisce i sentimenti di coloro che hanno preparato il cibo che mangia. La torta al limone che dà il titolo al libro, per esempio, sa di vuoto, è triste, proprio come la mamma che l'ha preparata, stretta in una vita che non la soddisfa. E così il latte, stanco come i mungitori, o la gelatina d'uva, piena di frustrazione come le cuoche della mensa. Se anche voi non potete scindere il cibo dalle persone e dalle storie dietro quel cibo, se credete che impastare il pane con amore sia un ingrediente importante quanto farina, acqua e lievito buoni – e che i panini del supermercato sappiano di plastica anche perché prodotti da macchinari e operai annoiati – non ho dubbi: entrate in una libreria e prendete Rose per mano.
F. "Romeo e Julienne. Scrittori e personaggi tra fornelli e web" é il tuo ultimo libro, scritto con Francesca Mastrovito, nel quale hai immaginato alcuni celebri personaggi della letteratura classica - un'Alice nel paese delle meraviglie delle foodblogger, un Romeo Montecchi twittatore sotto il balcone della sua Giulietta, un Ulisse recensore di ristoranti per Tripadvisor - alle prese fra attrezzi di cucina e social network. Come è nata l'idea?
A. Passeggiavo sul Tamigi, quando, all'improvviso, l'ho vista: seduta a un tavolino, dietro la vetrina di un caffè, c'era lei, Virginia Woolf. Mangiava una fetta di torta, beveva té, scriveva, guardava il mazzo di fiori che aveva accanto, tornava a digitare qualcosa sul suo laptop. Ho strabuzzato gli occhi e tirato fuori il mio iPhone: da Instagram addicted quale sono non potevo farmela sfuggire! Tornata a casa, non riuscivo a smettere di guardare quella foto. Chissà cosa farebbe, mi chiedevo, se Virginia Woolf fosse davvero viva oggi. Anziché tenere Diari, pensavo, magari avrebbe un blog, e bacheche di Pinterest su cui annotare le ispirazioni per i suoi romanzi. Di certo, ci sarebbero torte di mele, pagnotte fatte in casa e la marmellata di more che amava preparare per gli amici del Bloomsbury nel suo account Instagram. Ho cominciato a fantasticare e chiedermi cosa succederebbe se i grandi scrittori che tanto amiamo - Shakespeare, Flaubert, Lewis Carroll, Omero, solo per citarne alcuni - vivessero oggi, in questo tempo così connotato dai social network, di cui tutti ci lamentiamo ma su cui, poi, comunque passiamo le giornate. Probabilmente alcuni dei loro personaggi avrebbero finito per utilizzare questi mezzi, che stanno cambiando il nostro modo di comunicare e immaginare: magari Madame Bovary avrebbe letto su Kindle, Romeo sarebbe corso a cercare Giulietta su Twitter, Ulisse avrebbe anche recensito qualcuno dei posti dove mangiava, visto che, come dice Omero, "non salpava mai senza essersi tolto la fame e la sete". E Ulisse sarebbe stato di certo in buona compagnia, visto che molti dei protagonisti e degli autori, sono stati dei grandissimi foodie: romanzi, poesie, piéce teatrali sono pieni di dettagli culinari, disseminati qua e lá come tesori nascosti. Mi sono divertita a ricostruire queste trame segrete e, con un po' di fantasia e tanto studio, è nato "Romeo e Julienne", il libro prima, il sito subito dopo.
F. Da qualche tempo ti sei trasferita in Inghilterra per seguire le tue passioni: i libri, la cucina … l'amore. Come é cambiata la tua vita lavorativa? Cosa ti manca dell'Italia, cosa no? Quali nuovi orizzonti culinari ti ha aperto la terra di Virginia Woolf?
A. É un po' come quando, da bambina, mi divertivo a unire i puntini e alla fine compariva una figura: beh, qui sto comparendo io. Dopo quasi 10 anni dedicati all'editoria, in libreria prima e in una casa editrice poi, ho sentito che era arrivato il momento di una svolta. Che la passione per i libri doveva abbracciare l'altra mia grande passione, la cucina, di sicuro rafforzata dalla mia esperienza di salute, dal fulmine "mancino" per la macrobiotica e, più in generale, per una cucina attenta alle esigenze nutrizionali individuali. Ognuno di noi é diverso: perché la dieta con cui ci alimentiamo deve essere standard? E soprattutto: il cibo è un bisogno emotivo, prima che fisiologico. Scegliamo cosa mangiare in base a tanti fattori, l'ultimo dei quali é la fame, e quello che mangiamo influenza ciò che siamo e ciò che proveremo. Così mi sono trasferita qui e, mentre lavoravo al libro, mi sono iscritta all'International Macrobiotic School, frequentando i corsi, unici in Europa, di Emotional Healing and Eating, cominciando poi a tenere i miei corsi di cucina a Londra.
Vivere a Cambridge, nella città in cui Virginia ha scritto Una stanza tutta per sé, mi ha fatto venire sempre più voglia di scrivere e perfezionarmi in FoodWriting e FoodStoryTelling, cose prese molto seriamente nel mondo anglosassone, e dopo aver studiato al Guardian con grandi professionisti, comincerò a giorni a tenere delle lezioni ispirate a Romeo e Julienne.
Insomma, scrivo, insegno e cucino: unendo i puntini, sto finalmente diventando il sogno di me da bambina.
F. Ci lasci con un aforisma culinario-letterario?
A. I tre aforismi del mio cuore: "J'aime être gourmande" Colette; "Ci sono tre cose che una donna è capace di fare con un niente: un cappello, un'insalata e una scenata", Mark Twain, e la frase che più mi rappresenta, nella vita come in cucina, tratta da Le Onde di Virginia Woolf, "fluisco pur restando radicata".
Photo credits: tutte le foto sono di Antonella Gigante, tranne la n. 1 di Sonia Santagostino, la n. 3 di Alessandra Spairani e la n. 4 di Flavia Giordano
La cucina è la parte più vera di noi stessi, è l'invisibile cordone ombelicale che ci unisce alle nostre origini. Cucinando si percepiscono profumi che ci portano a ricordare momenti della nostra vita e cucinando possiamo trasmettere le nostre sensazioni, ma soprattutto il nostro amore a chi siede intorno alla nostra tavola. Siamo quello che mangiamo.
I primi mesi trascorsi in Italia furono così caotici che non riuscivamo a concentrarci nelle nostre azioni quotidiane. Olga mi rivolgeva la parola ed io non riuscendo a comprendere esattamente le sue parole, continuavo ad esempio a spargere altro sale sul vitello in cottura dimenticando di aver già compiuto lo stesso gesto per altre tre o quattro volte sulla medesima fettina di carne. Olga mi parlava cercando di incrociare il mio sguardo che, senza scomodarsi, restava ligio nella nostra ormai amata cucina dove però nulla era sinonimo di attenzione e pulizia.
Spesso lasciavamo il pane a lievitare per circa tre giorni su uno di quegli stessi strofinacci usati per spolverare i piani dei mobili. Tra la pasta del pane, erano ben riconoscibili le pagine strappate del vecchio libro di ricette della nonna Pasmina, ex proprietaria della nostra attuale casa nonché mamma della nostra vicina Marilda. Quel libro fu uno dei tanti oggetti preziosi che trovammo in casa e che la stessa signora Marilda, ci lasciò in dono. I segreti di una cucina più tradizionale e piena di piccoli segreti e accortezze ci furono tramandati attraverso le pagine di quel manuale scritto a mano dalla nonna Pasmina che avrebbe sicuramente voluto che le sue ricette più particolari venissero tramandate a più persone possibili, ma come ci volle accuratamente farci capire la signora Scarafoni, a persone con un grande cuore e passione per le cose belle della cucina.
Della mia infanzia non rimane quasi nulla tranne un po' di nostalgia di quei ricordi di un sapore di zucchero e miele, che mi restava sulle labbra quando la mia cara mamma preparava quei fragranti biscotti croccanti che mi piaceva gustare con un po' di crema alla vaniglia rigorosamente fatta in casa. Una dolce prelibatezza dal suo tocco magico, tramandata da un tempo molto remoto che sa lasciare delle tracce di sé negli impasti che oggi so preparare anch'io. Nella preparazione, nella cottura e nell'assaggio se sai di aver cosparso tutto con una buona dose di amore, sai già di non aver sbagliato nulla.
Mi accorgo di cucinare con passione mentre giro il sugo di pomodori col mio bel cucchiaio in legno, mentre aspetto vicino al forno che la crosta di una torta diventi dorata, mentre aspetto che le bolle d'acqua aiutino a far salire su gli gnocchi, quando taglio la prima porzione di lasagne fatte in casa e il piatto fumante mi ricorda di come ho tirato con cura la pasta. Ogni spezia, ogni salsa, ogni singolo fusillo o spaghetto, ogni aroma è come se facesse parte della trama di una storia di un piatto sempre nuovo che riesce ben a caratterizzarsi da tutti gli altri.
Nel preparare un piatto, è come se preparassi me stessa ad un evento importante. Non ho mai voluto deludere la mia famiglia, adesso non voglio deludere le sfumature della mia nuova vita che sono la mia amica Olga, i nostri vicini, la bellezza del paese che ci ha accolte, le nostre passioni e soprattutto l'importanza di tutte le albe e di tutti i tramonti che il tempo mi ha permesso di ammirare e condividere.
Tra le specialità che mi piace cucinare c'è una versione dolce dei canederli che prevede la preparazione con albicocche o prugne. Si preparano con lo stesso impasto di patate e farina che si usa per fare gli gnocchi, poi una volta steso metto su una bella sfoglia. Per questa variante, preferisco snocciolare le albicocche che riempio con un po' di zucchero e se la dispensa permette, ci aggiungo della cannella o dei chiodi di garofano.
A parte inizio ad abbrustolire del pane grattugiato assieme ad una goccia di burro, un abbondante cucchiaio di zucchero e della cannella, fino a caramellare il tutto. Le albicocche sono pronte per essere avvolte dalla sfoglia, per poi essere lessate e a fine cottura rotolate nel pan grattato caramellato.
Cucinare significa anche saper sperimentare, immergersi in un mondo ricco di sapori dove ogni ingrediente ha la sua parte da protagonista o comparsa in un intreccio di profumi che devono riuscire a creare una intesa perfetta tra le parti che, se pur di diversa origine, possono insieme forgiare dei piatti unici.
Non importa dove ci si trovi, di come è fatto il pavimento di una stanza o di quale legno pregiato o meno siano fatti i mobili presenti: purché sia un luogo, un posto dove ci si può riparare dalla pioggia e dal freddo dell'inverno, noi stiamo bene. Tra tutte le stanze funzionali e vissute, non deve mai mancare un bell'angolo cottura e un posto riservato a quei bei strofinacci fatti a mano, le piastrelle bianche che trasformano le pareti in specchi e che catturano tutti i vapori nati dalla cottura di una buona e calda minestra.
Tornando a casa, ci aspettano quei soliti ma preziosi momenti di una vita casalinga: ci si prepara la cena, ci si lava quei pochi indumenti e qualche asciugamano, si spolverano le mensole e quei pochi soprammobili legati a qualche ricordo più recente.
La cucina è diventata parte dei nostri giorni che cedono il posto alle notti. Riusciamo a chiudere gli occhi per la stanchezza della giornata e nuovi sogni sembrano già prepararsi nel chiuderci nei labirinti dei pensieri, facendo perdere il respiro e il presente.
(tratto da: La piscina delle mamme, di Filippo Gigante. Lettera Animate, 2013)
Pranzo con domande: proteine, calcio e vitamine
Scritto da Giulia SienaSiamo tornati alla normalità.
E normalità, per me e gli amici di questa piccola appendice familiare, significa mettersi a tavola. È in questi momenti che mi piace rispolverare la semplicità e il gusto di quelle domeniche fresche e assolate, lontano, lì giù in Puglia. I sapori quasi elementari della verdura di stagione, la complessità aromatica dell'olio extravergine di oliva o delle spezie e i buoni frutti della terra.
Per replicare questa idea e metterla nel piatto ho sempre bisogno di tre cose: la compagnia, gli ingredienti e la musica. La compagnia è arrivata quando Luca ha posato la sua borsa da viaggio sul mio parquet e ha ripreso il suo ruolo di Vegano sul divano: un rito, che da qualche settimana a causa della neve, delle escursioni e delle passeggiate lontane, si era sospeso. Con il suo ritorno sul mio divano è tornata anche la voglia di mettere tutti intorno la tavola e chiacchierare.
"Sai cosa facciamo domani? - dico mentre preparo una tisana – facciamo un bel pranzo domenicale". "Bene – risponde Luca intento a sistemare i cuscini del suo giaciglio temporaneo – ho proprio voglia di assaggiare qualcosa di sfizioso facendo quattro chiacchiere in tranquillità".
"Ottimo, avviso gli altri".
Quando, l'indomani, Paolo, Marina e Claudia suonano alla porta io e Luca siamo già in cucina intenti a spignattare, ma praticamente pronti per prendere posto e assaggiare qualche stuzzichino, la Pasta con il pesto di cime di rapa alle mandorle (quelle che abbiamo preso la scorsa estate dal mio giradino) e un buon dolce.
A tavola è un felice caos di posate, sorrisi e parole, mentre, sullo sfondo, la voce di Mercedes Sosa con Todo Cambia accompagna il nostro pranzo.
"Scusami Luca, i vegani come fanno, prendono medicine o integratori per sopperire alle carenze nutritive causate dall'eliminazione di alcuni alimenti? Ma poi, che carenze hanno? Le hanno?" dice Marina velocemente, come fa sempre lei.
La domanda mette silenzio, fluttua nell'aria e cattura la nostra attenzione, poi arriva la voce di Luca e la risposta a quell'interrogativo che tutti, in momenti diversi, ci siamo sempre fatti.
"Certo, è inevitabile – risponde sicuro Luca – alcune volte qualche carenza c'è, in noi vegani come tra voi onnivori, quindi non sempre dipende dall'alimentazione, come spesso, erroneamente si pensa".
"Non vorrai dirmi che chi non mangia carne o alimenti di origine animale non accusa la mancanza di vitamine o proteine? Dai, non ci credo!" Incalza bonariamente Paolo. "No – dice deciso il mio vegano sul divano - perché le proteine ci sono anche negli alimenti vegetali: il tofu e i legumi, ad esempio, sono ricchi di proteine. Quello che può mancare è qualche vitamina, come la vitamina B12".
"Anche le mandorle che stiamo mangiando in questo pesto,– aggiungo soddisfatta - sono un'ottima ma sottovalutata fonte di proteine e di calcio; le stesse cime di rapa o i carciofi e la bieta sono ricche calcio". "Allora da domani, o meglio già da questo pranzo, potremmo tutti smetterla di mangiare carne o pesce – osserva incuriosita Claudia – tanto avremmo già tutto quello che ci serve."
"Sì, è un po' così, ma io non voglio convincere nessuno. In natura abbiamo già tutto quello che ci serve per mangiare bene e con gusto. Certo... – spiega Luca – alle volte bisogna integrare gli alimenti, bilanciare bene la nostra dieta, fare attenzione alle quantità e alla varietà dei prodotti, per il resto ci siamo!"
"Bene, allora brindiamo – irrompe gioioso Paolo – io comunque, al vino non rinuncio!".
A oguno il suo.
(per ulteriori informazioni nutrizionali, potete consultare "Mangiare sano e naturale", di Michele Riefoli, Ed. Macro)
Photo credits: Emily